#comunicazioneconcounseling

Sono giornalista professionista dal 2005 e counselor dal 2022. Cosa hanno in comune le due professioni? Un buon giornalista deve sapere costruire un rapporto di fiducia col proprio interlocutore e la capacità di ascolto è il primo requisito per stabilire una relazione autentica. Saper fare le domande, non imboccare le risposte, non avere fretta. Io non pratico la professione di counselor, attuo la tecnica del counseling nel lavoro. Al centro metto il cliente, con le sue esigenze, che sono sempre e soprattutto umane. Cerco di comprenderlo e di comprendere da quali sentimenti è mosso. Noi giornalisti, in tutte le declinazioni del mestiere, siamo preda della fretta. L’adrenalina, la voglia di scrivere e diffondere la notizia, ci porta a mettere in secondo piano chi ne è protagonista. Eppure, si può ottenere lo stesso risultato, anzi più sfumato e autentico, cambiando l’approccio. Facendo domande aperte, quindi non chiuse, che inducono a rispondere solo sì o no. Sostenendo quanto ci viene detto, che potrebbe condurci a vedere la stessa notizia da più angolazioni. Dando dimostrazione che siamo empatici, non nel senso finto di ‘simpatici’ o addirittura ‘fintamente coinvolti’. Empatico è colui che prova – non necessariamente riesce – a mettersi nei panni altrui. Colui che è disponibile a sospendere il proprio giudizio – non a rinunciare al proprio giudizio – per lasciare aperta la porta ad altre vedute. Colui che non trae conclusioni, interpretazioni, ma ipotesi, di cui chiede conferma. Fare i giornalisti significa ascoltare. Sapere ascoltare, significa sapere fare le domande giuste.

 

Questo approccio è fondamentale:

per fare interviste propriamente intese a un personaggio dello spettacolo come a un sopravvissuto a una calamità naturale, cui spesso si rivolgono quesiti – ‘come si sente?’ – che risultano banali o fuori luogo perché i termini gusti paiono non esserci e la fretta è tiranna.

per fare progetti di comunicazione: l’ente o l’individuo che deve comunicare, nel pubblico come nel privato, in politica come in sanità o nel turismo, che messaggio vuole mandare? Perché? In cosa si differenzia dagli altri? Cosa vuole che si dica di sé o della realtà che rappresenta? Parliamo di un messaggio autentico o replicato da altri?  Rapportarsi col proprio interlocutore ponendo le giuste domande  è promessa fondamentale di una buona consulenza. Significa non porsi in un rapporto subalterno ma paritario col proprio cliente, iniziare a costruire un rapporto di fiducia attraverso la valorizzazione delle sue risorse, senza mistificare la realtà. E’ prendersene cura con un uso corretto e non ingannevole delle parole.